Armatevi e partite

Ci sono abituata alle manifestazioni. Ho manifestato nella mia piccola città di provincia contro le varie riforme scolastiche per anni, dalla riforma Berlinguer alla riforma Moratti. Sempre pacificamente, striscioni e canzoncine, niente di serio, e forse neanche niente di utile visti i risultati.
Oggi e ieri e negli ultimi giorni non ero lì a manifestare con i miei colleghi universitari. Non c’ero perché l’aver manifestato in passato mi ha purtroppo marchiato con un bollino pericolosissimo che dice tanto-non-serve-a-niente-che-manifesto-a-fare. E sbaglio a non farlo, perché deve servire a qualcosa.
Però voglio parlarne di quello che sta succedendo. E voglio raccontarlo perché non tutti se ne rendono conto, soprattutto chi vive fuori da questa realtà a me, purtroppo, vicina.
E la realtà è che la forza dei manifestanti di questa battaglia era nel non schierarsi politicamente, in modo da non farsi strumentalizzare, e invece oggi questo bel sogno degli universitari contro la politica si è incrinato.
Il problema è che non si è incrinato per caso, non si è incrinato perché è davvero così.
E mentre attraversavo l’Italia in treno oggi Repubblica titolava: "Un camion carico di spranghe e in Piazza Navona è stato il caos".
L’articolo racconta cose ai limiti dell’assurdo, "squadristi" di destra che prendono a bastonate gli "antifascisti" e la polizia che sta a guardare perché "i violenti sono quelli di sinistra", insegnanti sessantenni in mezzo ai cortei che si sentono in colpa per aver portato i propri studenti in mezzo alle risse, "pensavamo fosse un corteo pacifico".


Qualcuno si è reso conto che stiamo ancora parlando di fascismo e antifascismo nel duemilaeotto?
Qualcuno si è reso conto che questi che picchiavano urlavano "Duce Duce"?
Qualcuno vuole capire che è anche un problema di cultura?
Qualcuno in questa maledetta Italia vuole alzarsi in piedi e dire che della politica non gliene frega niente e vuole soltanto studiare senza dover fare debiti per pagare le tasse?
Qualcuno lo stava facendoqualcun altro alla fine è riuscito a portarli dove questo maledetto dibattito destra/sinistra voleva portarli:
sulla politica.

E con tutto che questo è un momento storico per l’Italia, perché mai ci si è ribellati ad una riforma con tanta insistenza -soprattutto non negli ultimi 10 anni e soprattutto non per la scuola- dopo tutte queste "belle" notizie c’è una cosa che mi ha fatto incazzare più di tutte…ma tanto da mandarmi il sangue al cervello per circa 4 ore: questa dichiarazione.

E’ ancora una volta un’Italia Orwelliana, bloccata, dittatrice, antidemocratica, manipolatrice, chiusa, superficiale, idiota, mafiosa, ingiusta, anacronistica, speculatrice. Un’Italia che non sa parlare e che zittisce chi lo fa.

Sono molto molto molto incazzata.

Vicky Cristina Barcelona

Carino. Non un film di Woody Allen con le iniziali in maiuscolo per me…uso un po’ eccessivo della voce fuori campo e storia un po’ banalotta dal finale scontato, sebbene (grazie a Dio) non felice.
Una cosa, però, devo ammettere che il mio Woody l’ha fatta, un piccolo miracolo…portare nelle sale italiane scene di passione tra due donne, che non fa mai male alla nostra Italietta razzista.

Updates…

Mi è bastato un weekend a Firenze per rendermi conto di cosa mi faceva sentire così vuota e a volte inutile.
Sono stati tre giorni intensi. Ed ero in una nuova casa in cui tutto era diverso tranne una cosa: gli archivi, il giornalismo, le foto, i reportage, tutto quello che fino a prima di iniziare la specialistica era il mio mondo, il mio sogno, la passione che mi faceva stare sveglia la notte a sognare ad occhi aperti.
E stando lì mi sentivo come se fino ad adesso avessi mentito a me stessa, come se fino a quel momento mi fossi convinta che scrivere poteva anche non essere il mio futuro, come se il giornalismo non fosse più parte di me come prima.

Invece no.

Invece ho risentito, dopo tanto tempo quell’attrazione fatale, quell’amore/odio per i viaggi, per il pericolo di stare su un aereo che cade a pezzi diretto verso un luogo ai confini della civiltà e quell’esigenza di raccontarlo.
E me ne sono andata a letto, ho acceso la tv sovrappensiero finché non mi sono imbattuta in uno di quei film che mi ha cambiato la vita "Nuovo cinema Paradiso". Con la differenza che stavolta mi sono resa conto che la frase chiave del film non è più per me "Vattinne, chesta è terra maligna", ma "Non tornare mai, nun ti fari futtere dalla malinconia". Ed è un po’ quello che ha fottuto me. La malinconia per qualcosa che poi quando torni non ritrovi più come l’avevi lasciato.
E mi è tornata la voglia di creare, di scrivere, di raccontare, di fare foto, di leggere, di vedere film…la curiosità. Tutto di un colpo mi è tornata la voglia di vivere come ho sempre vissuto: appassionatamente.

Nonostante questo Paese distrugga le persone appassionate ignorandole e non rispettandone le idee.
Devo trovare il modo per sentire questa passione scorrermi nelle vene tutti i giorni, devo trovare un modo qui in Italia per far vivere dentro di me questo sogno perché anche quando non lo guardo lui resta lì a guardarmi vivere.
Devo trovare il modo per non fare al giornalismo quello che ho fatto alla musica: lasciarla andare.

Anche perché prima o poi ritorna ed è sempre troppo tardi.

Up to the bones

Sapete che vi dico? Non mi interessa.

Se questo blog esiste è anche perché nei momenti in cui ne ho voglia mi rende libera di parlare di quello che sto inghiottendo, e se per voi è troppo depresso, troppo triste, troppo polemico, troppo autobiografico, troppo troppo, siete liberi di cambiare canale, 

n o n m e n e f r e g a a s s o l u t a m e n t e  u n a m a z z a .

Tornando a me (perché sto diventando megalomane, ma passerà).
Sto iniziando a somatizzare.
Ma della serie che mi manca l’aria, che non riesco a condividere un ambiente con le stesse persone per più di mezz’ora, che ho lo stomaco a pezzi, che ho la fobia delle persone che non conosco, che ho scatti di ira, che mi sento aggressiva e diffidente, che mi sembra che il mondo ce l’abbia con me e mi sembra che il mondo non mi consideri neanche lontanamente, insomma mi sento
schiZofrenica.
E a qualcuno voglio anche dirlo, ma come lo spieghi? Come fai a dire alla gente "in questo momento non ti sopporto" quando l’attimo dopo ti viene da dir loro "ti voglio bene"? Come fai ad ammettere che puoi andare dovunque, ma non staresti bene da nessuna parte? Come fai ad accettare il fatto che anche se ora, adesso ti mettessi su quel maledetto aereo e ti trasferissi   per sempre ti verrebbe voglia di scappare anche da lì dopo due giorni?

Come fai ad accettare che quello che ti manca, ti mancherà sempre finché non accetti il fatto stesso che ti manca?
Ecco.
Appunto.
Dico di volerlo urlare, e  non riesco nemmeno a scriverlo, figurarsi a parlarne.

P.S. Tranquilli al momento non mi preoccupa l’idea di impazzire, se ciò accadesse forse migliorerei.

Italian life..

Italia Italia.
Non è facile spiegare come mi sento.
Mi avevano detto di non perdere la mia positività una volta sbarcata in Italia, e ci sto provando.
Mi avevano detto che l’Italia in fondo è bellissima e non va disprezzata e ci sto provando.
Mi avevano detto che i cambiamenti sono una buona cosa e ci voglio credere.
Ma è difficile.
E’ difficile quando attraverso la strada e mi accorgo che continuo a guardare a destra.
E’ difficile quando entro in un locale e capisco che non posso essere me stessa.
E’ difficile quando giro per strada con un cappello e sento gli occhi della gente che mi guardano come un alieno.
E’ difficile quando vado a fare la spesa e mi chiedo perché non trovo quei cereali o quel succo di frutta che qui non c’è.
E’ difficile quando non so cosa fare l’ora dopo e mi ritrovo a firmare un contratto d’affitto per un anno.
E’ difficile quando concretizzo che devo riaprire i libri per finire una laurea che non mi servirà né in Italia né all’estero.
Ed è difficile aprirmi agli altri perché più ci parlo più mi rendo conto che non possono capire.
Possono cercare di capire, ma non lo sentono.
Non lo sentono il magone che ho allo stomaco, né tantomeno la rabbia o il disgusto per certi atteggiamenti o situazioni.

Eppure mentre giravo per le strade della mia piccola hometown oggi ho sentito un amore infinito per questi paesaggi. Per le sue colline, e i suoi tramonti che, come una certezza, sono sempre lì: immutevoli, fermi e cangianti allo stesso tempo.
E poi sentivo l’affetto per la mia famiglia e per i miei amici.
Ed è bellissimo tornare a casa e trovare le persone che ami più grandi, più mature, ma sempre le stesse, proprio come te. Perché senti che il tempo è passato e che tre mesi e mezzo non sono pochi, ma che l’essenza delle persone non cambia; così come non cambiano i rapporti, se sono rapporti veri.
E nonostante tutto questo mi sento come se fossi in un’altra dimensione, in un altro mondo. Ed è un mondo che non mi appartiene, che non sento mio, in cui non riesco a muovermi.
E’ come se fossi un burattino senza burattinaio, buttato lì su un palco posticcio, in attesa di un pubblico e di un "padrone". La scenografia dietro di me è stupenda, la amo, mi è mancata, sono contenta di rivederla, ma resta comunque una scenografia…
almeno per ora.

Back-Packing-Packing-Back

Di nuovo la mia vita in un borsone verde, uno zaino e una borsa.
Di nuovo come il 25 giugno per venire qui a Londra.
O come la prima volta che sono partita per Firenze per ricominciare da lì passando da Parigi.
O ancora come quando ho lasciato Firenze per ricominciare di nuovo a Modena.
"Changes are good" dice il mio Londoner preferito.
Ed è vero: i cambiamenti sono una buona cosa, anche se fanno quasi sempre paura.
In questi momenti mi sento come una vecchia macchina da scrivere, finito il rigo "tin" torna indietro in velocità e ricomincia a scrivere. Poi altro rigo "tin" altro spostamento.
La differenza è che gli spostamenti che la vita ti porta a compiere non sono mai lineari, e non c’è sempre un "tin" che ti avvisa prima che accadano.
Ed io mi sento un po’ come se stessi aspettando quel tintinnio adesso, perché sono quasi le 2 di mattina e ancora non ho finito di fare la valigia e perché invece di mettermi a pensare a come far entrare 3 mesi pesanti e belli in un borsone malconcio e triste, me ne sto qui seduta a scrivere.
Ho passato un’ultima giornata bellissima, in compagnia di una persona bellissima e sono davvero felice. Sapere di essere riuscita a costruire un rapporto vero anche qui e nonostante tutte le difficoltà, vale per me più di qualunque altra cosa. E anche se questa città mi mancherà come l’aria, anche se da lunedì non sarà più tower bridge la prima cosa che vedrò al mattino, anche se non lavorerò più in quell’ufficio, anche se non vedrò tutto questo per un po’…il fatto che tutto questo mi mancherà vuol dire che ho vissuto al massimo ogni secondo qui. Ed è bello partire con questo genere di malinconia sulla pelle.

E allora che gusto c’è a tornare?

non so come prendere questa partenza.
A volte la vedo come un tornare indietro, a volte co
me uno starmene ferma per un po’.
Fatto sta che so come dovrei vederla.
Dovrei viverla come un andare avanti, come un esplorare qualcosa che fa parte del passato, ma con occhi nuovi, con gli occhi di chi ha vissuto per tre mesi come e dove ha sempre voluto vivere.
E se allora è davvero così, se davvero ho visto come e dove vorrei vivere che gusto c’è a tornare?
Il gusto di vivere ciò che ho perso stando qua.
Perché anche stando a Londra ti perdi qualcosa, è normale.
E ti perdi le partenze e i ritorni degli amici che contano.
Ti perdi i capelli bianchi di tuo padre e i sorrisi di tua madre.
Ti perdi il calore.
Che è quello che mi manca in questo momento.
Il calore e l’affetto di persone su cui so di poter contare. Le voci che ti fanno sorridere quando le ascolti. Gli abbracci da pelle d’oca. Le conversazioni infinite sui massimi sistemi.

Ho scritto più di una volta sull’importanza dei legami di amicizia, ma mai come ora sento che sono proprio quelli a farmi salire su quell’aereo domenica.
Fino a pochi giorni fa non riuscivo a trovare un motivo per tornare in Italia e non riuscivo a trovare un motivo per cui non stavo bene qui. Ora ce l’ho, l’ho capito.
E ho capito che puoi essere nel posto più bello del mondo, puoi realizzare il sogno di una vita, puoi avere due miliardi in banca al giorno e un attico a New York, puoi fare un lavoro che ami, puoi essere la più figa dell’intero pianeta, puoi avere tutto quello che hai sempre desiderato, ma una cosa non cambia:

avrai

sempre

bisogno

di

calore.

Per fortuna.