Lost generation

“See? This is the “lost generation” that everyone talks about. They keep on getting temporary contracts and they can’t get years of experience, so they are not able to grow professionally. I am 27 and I earn 75k py. I started with the phone stuff, now every week someone offers me a job because I got 3 years of experience.” D.F.

“Lost generation” ci chiamano, “like the one in Greece and in Spain”.
E la cosa bella è che il ventisettenne che parla non è nemmeno di Londra.
E’ svizzero. Uno che aveva tutto pure a casa sua. Ma che ha comunque deciso di girare il mondo. E che a 24 anni, dopo aver lavorato in Cina e chissà dove altro, si è trasferito in London, si è sposato e si è pure comprato casa.
Io a 24 anni ero a qua a fare un tirocinio per poi decidere di tornare in Italia chiedendomi se fosse la cosa giusta da fare o no.
Oggi, 5 anni dopo, mentre lui paga il mutuo e lavora a 15 minuti da casa sua in un ufficio di vetro da cui si vede South East London, sono di nuovo a Londra, e ancora a chiedermi se è la scelta giusta oppure no.

C’è chi riesce a decidere su due piedi e chi non ci riuscirà mai.
E io ancora non ho deciso da quale parte stare.
O forse sì.

Che due coglioni.

Doubts and decisions – E se poi va male che faccio?

“Forse la domanda che ti suonava in testa era: ‘e se poi va male che faccio?'” A.T.

E’ inutile starsela a raccontare. Quando si tratta di prendere delle decisioni ce la facciamo tutti addosso. Ci vengono in mente le scuse più banali a seconda dei casi.

Dobbiamo decidere quale università fare? Ci assilliamo con cose tipo: “troppo lontana, troppo costosa, gli amici non ci vanno, i genitori non vogliono, la città è troppo grande, le materie sono troppo difficili, troppo facili, troppo insignificanti…

Dobbiamo scegliere se aderire ad una proposta di lavoro? Allora via al repertorio dell’insicurezza: non fa per me, non mi prenderanno mai, non sarei capace, non sono portato…

E così via all’infinito a raccontarci che “evidentemente non siamo pronti”.

Come ho detto ad una cara amica ormai una ventina di giorni fa:

“Il punto non è ‘perché’ non eri pronta. Ma se stai facendo qualcosa per esserlo. E soprattutto se vuoi ancora essere pronta per cose come quella.” A.T.

Perché spesso quel tempo che impieghiamo a prendere la decisione fatidica non ci accorgiamo che ci sta già cambiando, e che alla fine di tutte le analisi dei pro e i contro dobbiamo comunque rifarcela quella domanda e accettarne la risposta. Accettare che se abbiamo cambiato idea non è necessariamente per codardia, stupidità o incapacità decisionale, ma semplicemente perché non siamo più chi credevamo di essere.

Crediamo di sentirci bloccati da fattori esterni, da persone, cose, situazioni, fatti. In realtà siamo noi il peggiore ostacolo al nostro stesso cambiamento.

“Non sono i posti che ci fanno sentire imprigionati, siamo noi che siamo imprigionati in noi stessi. E finché non iniziamo a far qualcosa dentro di noi non cambierà mai un cazzo.” A.T.

Dicevo anche questo alla mia amica, quando, dando voce ai pensieri, pensava di essere bloccata. Forse tutti noi ad un certo punto smettiamo di chiederci cosa vogliamo davvero. Smettiamo di anteporre la propria felicità alla felicità dei propri cari, non considerando che i nostri cari sono i primi a volere la nostra felicità.

Io in quest’ultimo periodo ho scelto di rinascere dalle ceneri. Di fare un enorme scatolone ed infilarci dentro tutte le cose che mi appesantiscono, tutti gli episodi che mi hanno deluso negli ultimi 3 anni, tutto ciò che non mi rappresenta più e lasciarmelo alle spalle. Dopodiché fare una raccolta di tutto ciò che ad oggi voglio tenere ancora e portare con me e cercare di partire.

Sì, dico cercare di partire, perché potrei sempre cambiare idea una volta finito di fare lo zaino.

Nel frattempo sono due i mantra che mi ripeto nella testa. Il primo è una citazione di Mark Twain:

“Twenty years from now you will be more disappointed by the things that you didn’t do than by the ones you did do. So throw off the bowlines. Sail away from the safe harbor. Catch the trade winds in your sails. Explore. Dream. Discover.”

La seconda è la canzone con cui ho iniziato questo lunedì:

Leaving Here – The Who (cover dei The Birds)

Buon  ascolto e buona giornata a tutti

Riflessione politica…

1984 è un romanzo scritto da George Orwell ed ispirato alla dittatura stalinista.

I tre slogan alla base del “Partito” presente nel libro sono:

La guerra è pace

La libertà è schiavitù

L’ignoranza è forza

Dal momento che noi mandiamo forze militari “in missione di pace”, che se non vuoi vivere per sempre in galera devi sottostare ad una politica di Governo deprimente e che per diventare qualcuno qui devi essere veramente ignorante…In Italia valgono tutte e tre le cose.

Ma. Non abbiamo Stalin al Governo. Eppure. Non c’è differenza. Nella teoria non c’è differenza.

Ne La distinzione. Critica sociale del gusto Bourdieu afferma che alla base del comunismo ci sia uno Stato che gestisca le principali industrie del Paese…

Noi ce l’abbiamo uno Stato così…

peccato solo che abbia un Governo di destra.

Di stazione in stazione, di porta in porta..

I “migranti” che si spostano lungo lo il nostro stivale italiano usano anche gli Eurostar. Ma con una piccola differenza: “loro” sono dell’alta borghesia.

“Loro” parlano al cellulare dall’inizio del viaggio all’arrivo in stazione, attaccando, mentre salutano con falso entusiasmo chi li è venuti a prendere.

“Loro” quando sono in viaggio il pranzo lo comprano sempre in stazione, anche se gli fa schifo, perché se te lo porti da casa sei uno sfigato .

“Loro” discutono di quanta crisi ci sia al giorno d’oggi e di quanto sia importante fare economia…pertanto “loro” rinunciano addirittura alla settimana bianca. Addirittura.

Quello a cui proprio non riescono a rinunciare, invece, sono le 3 lampade a settimana che ti abbronzano in quei periodi dell’anno in cui, per aver potuto prendere il sole saresti dovuto andare per forza dall’altra parte del globo.

“Loro” non accettano che i loro figli possano essere bocciati, perché fondamentalmente non accettano il fatto stesso che anche i loro figli per andare avanti devono studiare almeno a scuola. A volte.

E poiché non lo accettano, “loro”, fanno ricorso agli avvocati. Accusano i professori di lassismo, mentre, tra una lampada e un’altra s’incontrano dal parrucchiere.

“Loro” hanno soltanto occhiali da sole firmati, al massimo sono falsi e li spacciano per veri, e ne vanno così orgogliosi che li indossano anche di sera.

“Loro” non iniziano mai una frase senza l’aggettivo possessivo: “mio marito”, “mio figlio”, “mia moglie”; perché il possesso per loro è il sale della vita, è ciò che gli consente di affermare il proprio status sociale.

“Loro” se sbagliano qualcosa non è mai colpa loro. Se perdono il treno era in anticipo (quando mai si è visto in Italia un treno in anticipo mah!), se arrivano in stazione un’ora prima è il treno che ritarda. Se sbagliano a prendere treno non avevano annunciato il cambio binario e se devono pagare la multa è il controllore che è bastardo.

La cosa peggiore di questi soggetti è che si dividono in due categorie: i veri snob e i cosiddetti cafoni rivestiti. I primi schifano tutti. I secondi schifano tutti tranne i primi. Quelli li ammirano. O invidiano. Dipende dai casi.

Oroscopo Internazionale


Ariete (21 marzo – 19 aprile)

Il terremoto che colpì San Francisco nel 1906 distrusse anche la città di Santa Rosa. Durante i lavori di ricostruzione, Frank Doyle – un uomo d’affari che si definiva un "paladino del futuro" – fece una proposta avveniristica. "La nuova strada che attraversa Santa Rosa dovrà essere più ampia", disse Doyle. "Così ci sarà spazio anche per quella novità tecnologica chiamata automobile". Prendi a esempio la sua lungimiranza, Ariete. Quando ricostruirai e rinnoverai il tuo mondo, crea l’equivalente metaforico di una strada più ampia. Diventa un paladino del futuro.

Rob…se non ci fossi tu…anche se la lungimiranza in questo periodo proprio non ne vuole sapere di manifestarsi nel mio cervello..