Canzone del giorno:
"Mi fido di te"
-Lorenzo Cherubini-
Case di pane, riunioni di rane
dai chi è che ballano nelle chadillac
muscoli d’oro, corone d’alloro
canzoni d’amore per bimbi col frack
musica seria, luce che varia
pioggia che cade, vita che scorre
cani randagi, cammelli e re magi
forse fa male eppure mi va
di stare collegato
di vivere di un fiato
di stendermi sopra al burrone
di guardare giù
la vertigine non è
paura di cadere
ma voglia di volare
mi fido di te
io mi fido di te
ehi mi fido di te
cosa sei disposto a perdere
Lampi di luce, al collo una croce
la dea dell’amore si muove nei jeans
culi e catene, assassini per bene
la radio si accende su un pezzo funky
teste fasciate, ferite curate
l’affitto del sole si paga in anticipo prego
arcobaleno, più per meno meno
mi fido di te
cosa sei disposto a perdere
rabbia stupore la parte l’attore
dottore che sintomi ha la felicità
evoluzione il cielo in prigione
questa non è un’esercitazione
forza e coraggio
la sete il miraggio
la luna nell’altra metà
lupi in agguato il peggio è passato
giovedì, 29 Settembre 2005
Oggi il vento ha deciso di portarmi all’inaugurazione di “Perugia Classico”. Musica pura. Mi ritrovo a girare tra gli strumenti più disparati, in lontananza sento il suono sconnesso e armonico di un bimbo alle prese con uno xilofono. A sinistra, subito dopo l’ingresso, un signore malinconico, ma sereno suona la ghironda… mi sembra per un attimo di tornare nella Francia di tanti anni fa.
Quattro passi dopo il mio cuore trema: violini. Una fila immensa di violini ognuno con la sua anima. Sono orgogliosi, silenti, felici di sentirsi osservati. Le mie mani sudano. Ogni millimetro della mia epidermide sente il bisogno di suonare, di far vibrare nuovamente quelle corde, ma non posso. E’ un dolore che corrode la volontà. Una voglia estrema di strapparmi dal corpo queste mani quasi inutili perché incapaci, quest’orecchio musicale che non c’è quasi più. Ritorno alla sala degli xilofoni, i bambini sono andati via. Mi siedo a terra e fisso gli strumenti. Inizio a suonare quel buffo strumento. In quei suoni ritrovo la mia infanzia. L’esigenza di riuscire ancora a regalare alle mie orecchie note intonate prodotte dalle mie mani. 15 minuti in cui ritorno bambina, siamo io e la musica una nell’altra. Respiro piano, poi di corsa, con affanno, come un maratoneta vicino al traguardo.
Una consolazione che vittoria non è, ma che resta sempre una conquista per il mio ego ferito e orgoglioso. Per una volta nella vita posso dire di aver suonato senza pensare, per la semplice gioia di produrre suoni. Proprio come i bambini.